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Clair de lune

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view post Posted on 3/1/2013, 22:42
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PinkSpider

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Abel sentiva il cuore battere veloce, producendo un rumore sordo nelle sue orecchie, il respiro farsi sempre più accelerato e annaspante, mentre i polmoni e la gola si contraevano per la fatica e la paura. Le ombre contorte degli alberi alla luce del sole che tramontava si fondevano l’una con l’altra, stagliandosi davanti a lui come arti mostruosi pronti a ghermirlo e ogni rumore, persino quello dei suoi stessi passi, suonava come una nuova e inaspettata minaccia pronta a comparire dal nulla. Non sapeva da quanto tempo stava correndo, né quanto sangue avesse perso dalle ferite sulle braccia e sulle gambe, l’unica cosa che sapeva era che non poteva fermarsi. Il suo era ovviamente un pensiero irrazionale, perché non c’era modo per un umano di essere più veloce di un licantropo. Era un po’ come guardare il gatto che si diverte a inseguire il topo: il roditore sa bene di essere spacciato, ma continua a correre sperando fino all’ultimo di poter sfuggire agli artigli del felino, che però finivano inevitabilmente per schiacciarlo dopo essersi divertito a torturarlo. Ed era proprio quello che stava succedendo in quel momento: i profondi graffi sul suo corpo sanguinavano sempre di più, mentre la folle risata divertita di quell’uomo gli risuonava nella testa come una mostruosa e angosciante melodia, un suono sgraziato che sembrava avvicinarsi a lui sempre di più. Sfiorò il tronco di un albero, lasciando una macchia vermiglia sulla corteccia sottile, facendosi largo fra i cespugli incolti e secchi che un tempo erano forse stati rigogliosi. Era caduto in quella trappola disgustosa nonostante tutti gli avvertimenti, era sgattaiolato via di nascosto dalle lezioni pomeridiane e si era diretto verso quel vecchio cimitero, dove tutto era cominciato…e dove tutto probabilmente sarebbe finito. Era stato proprio lì che aveva incontrato Gilbert per la prima volta, non molti mesi prima, anche se sembravano essere passati anni. Tanti, meravigliosi anni, ricordava alla perfezione ogni singolo giorno vissuto insieme a lui, e la felicità che aveva provato nonostante tutto ciò che avevano dovuto affrontare. Quell’essere doveva sapere cosa significasse per lui quel luogo, li aveva spiati, studiato a lungo le loro mosse per poi sferrare l’attacco finale. Sapeva che lui si sarebbe fidato, e l’aveva aspettato a braccia aperte, come se dovesse accogliere un amico, per deriderlo. Deridere la sua ingenua fiducia e la sua stupidità, che adesso gli sarebbero costate la vita. Come nella più grottesca delle battute di caccia, gli aveva dato un minuto di vantaggio per scappare, e Abel aveva sperato di riuscire a ritrovare l’uscita, perdendosi però in quel disordinato intrico di vegetazione e stradine sterrate che si interrompevano in vicoli ciechi o davanti a piccoli gruppi di tombe, segno che si stava addentrando sempre più nel cimitero.

Vincent…poche volte aveva sentito quel nome, ma aveva imparato a temerlo: sapeva che era stato lui a trasformare Gilbert in un lupo mannaro ormai tre secoli prima, sapeva che era stato lui a uccidere la sua sorellina, e che aveva continuato a perseguitarlo, uccidendo tutti coloro a cui si legava. Per questo adesso toccava a lui…lui, il piccolo, stupido umano che aveva deciso di innamorarsi di quel licantropo nei cui occhi aveva visto una tristezza profonda quanto la sua.
Aveva conosciuto Gilbert proprio davanti alla tomba di sua sorella, anche allora si era perso in quel cimitero dove era entrato per pura curiosità, e lui lo aveva condotto fino all’uscita, dove Abel era caduto a terra privo di sensi a causa del dolore provocato da un’improvvisa visione, risvegliandosi solo il giorno dopo nel letto del licantropo. Entrambi sembravano condividere una maledizione che pesava come un macigno sulle loro spalle, seppur completamente diverse, ed entrambi avevano perso la persona a loro più cara. Da tutta la vita Abel conviveva con il terrore che il dono ereditato da sua madre, quello di prevedere il futuro, lo avrebbe portato a una prematura morte certa, esattamente come era successo a lei, ma prima di incontrare Gilbert aveva sempre pensato che la sua vita non avesse valore.
Dopo la morte della madre suo padre lo aveva rifiutato, rinchiudendosi da solo nel suo dolore dopo aver cercato di uccidere il suo stesso figlio, i cui occhi gli ricordavano troppo quelli dell’amata moglie scomparsa. Non l’aveva più visto da quando, dieci anni prima, l’aveva portato in Giappone dalla sorella, unica che lo avesse accolto e amato in quella terra straniera, dove la sua stessa famiglia pensava che quel suo dono portasse sfortuna, e lo guardava con disgusto a causa di quei suoi grandi occhi azzurri, eredità della madre americana e così strani su un viso orientale. Per anni aveva fatto del suo meglio per evitare di essere un peso, terrorizzato dal pensiero che avrebbero potuto di nuovo gettarlo via, nascondendo tutte le sue paure sotto un sorriso e i lividi del suo corpo sotto vestiti troppo larghi per lui. D’altronde un bambino così ‘strano’ non poteva sperare di passare inosservato in mezzo a bambini così normali, così comunemente perfidi nel loro disprezzo per il ‘diverso’. La sua vita era cambiata di nuovo quando era salito su un aereo che lo avrebbe portato in un altro Paese straniero, stavolta meno ostile, in una scuola per ‘quelli come lui’, umani o non umani che condividevano il destino di essere temuti e odiati dalla massa informe di persone comuni che fin da tempi antichissimi aveva tentato di scacciarli e annientarli. Soltanto lì, lontano da quegli umani comuni che disprezzava tanto, era riuscito a ritrovare la sua serenità, e lì aveva scoperto l’esistenza di un sentimento che fino a quel momento aveva visto solo riflesso negli occhi degli altri, ma mai avrebbe pensato di poterlo vivere di persona.
Il loro percorso non era stato facile fin dall’inizio, troppe volte Gilbert aveva visto la morte strappargli via ciò che aveva di più caro, e troppo forte era il timore di poter essere lui stesso a uccidere chi gli era vicino, mentre Abel non desiderava altro che amare ed essere ricambiato. Probabilmente era stato proprio questo, infine, a unirli: un desiderio così forte da riuscire a creare una crepa in un muro fatto di secoli passati a odiare sé stessi e i propri simili, rimpiangere ciò che si era perso, anelando solo a una rassicurante fine. Abel aveva sempre pensato a quanto fosse stato fortunato a incontrarlo, e che Gilbert non fosse mai riuscito a mettere da solo fine alla sua esistenza, perché quel sentimento era cresciuto in fretta fino a riempire ogni fibra del suo essere. Forse troppo in fretta, perché sapeva di avere poco tempo, e si era infine lasciato travolgere da quella gioia ossessiva che non gli permetteva di posare lo sguardo su nessun’altro, facendo diventare il suo amato centro di un mondo che non aveva intenzione di lasciare. Proprio per questo l’idea dell’immortalità aveva iniziato presto a farsi strada nella sua mente, ma Gilbert aveva sempre respinto questo suo desiderio, avvertendolo che non avrebbe mai condannato la sua anima alla dannazione eterna, e che per loro non ci sarebbe stato futuro se Abel avesse fatto ‘una sciocchezza’. Gli aveva fatto capire che avrebbe sofferto per la sua morte, ed era proprio questo ciò di cui Abel era più spaventato: il pensiero che Gilbert avrebbe potuto soffrire a causa sua l’aveva tormentato come un incubo ricorrente, diventando parte di quell’enorme massa di dolore che teneva rinchiusa nel suo cuore. Se lo era ripromesso, avrebbe trovato il modo di sconfiggere la morte, un modo che avrebbe reso entrambi felici. Per questo doveva continuare a correre.

La luna ormai alta nel cielo, circondata da un blu intenso e senza stelle, rendeva ancor più imponente e minacciosa la figura del lupo che lentamente si avvicinava alla sua preda, ormai esausta e adagiata a terra, priva di forze e completamente coperta di sangue. L’ombra della bestia si stagliava su di lui come un oscuro presagio, e Abel aveva quasi la sensazione di sentire già su di sé il peso di quel mostro che sembrava ancora ridere di lui, quelle fauci potenti e affilate e il suo fiato fetido sul volto. Il suo corpo ebbe un breve spasmo, come un ultimo singulto di attaccamento alla vita, prima di rimanere immobile e inerme davanti al lupo che avanzava. Le guance si rigarono di lacrime silenziose mentre lo sguardo si rivolgeva alla tomba accanto a lui: quell’essere immondo aveva deciso di ucciderlo proprio lì, accanto alla tomba di Charity, la prima vittima che aveva strappato via dalle braccia di Gilbert quando era ancora una bambina che era stata vicino al fratello fino all’ultimo, anche quando i loro genitori avevano imprigionato in cantina quel figlio ormai maledetto. Lo avrebbe ucciso lì per farlo soffrire ancora di più, godendo di quel dolore che nella sua follia era una prova d’amore, quell’amore malato che nutriva per quel ragazzo che aveva strappato da una vita normale.
“Non qui…” sussurrò con l’ultimo respiro, mentre chiudeva gli occhi e sentiva i denti del lupo squarciare la carne sul suo petto, come a volergli strappare quel cuore che continuava a battere solo per Gilbert.
Quando li riaprì la luna era ancora alta nel cielo, illuminando in modo spettrale le antiche tombe di quel piccolo cimitero inglese, ma della bestia non c’era più traccia. Sentiva tutto il suo corpo pulsare, ma il dolore che avrebbe dovuto ucciderlo, o fargli perdere i sensi, sembrava invece rafforzarlo lentamente sempre di più. Provò a muovere le braccia, sfiorandosi il petto per poi alzare la mano tremante davanti al viso, vedendo colare il sangue dalle dita. Era ancora vivo, e il suo cuore batteva ancor più veloce di prima.
Per un attimo si chiese come mai l’avesse fatto, se sapesse anche dell’odio di Gilbert per i licantropi e che avrebbe sofferto ancor di più vedendolo trasformato in un essere che odiava più di qualsiasi altra cosa. Forse aveva pensato che la morte non sarebbe stata una punizione sufficiente per lui, né una sofferenza troppo grande per Gilbert…aveva voluto renderlo come lui, infettandolo con le sue luride fauci, in modo che entrambi fossero condannati a soffrire per l’eternità, lontani l’uno dall’altro. Lentamente riuscì a mettersi seduto, posando la schiena su quella tomba così importante, mentre la mano ricadeva inerte al suo fianco e lo sguardo vagava tra le fronde degli alberi immobili in quella notte immersa nel silenzio. Doveva andare via, non voleva che Gilbert lo vedesse così proprio sul luogo di sepoltura dell’amata sorella, ma allo stesso tempo il suo corpo straziato dalle lunghe torture inflittegli non era ancora abbastanza forte. Pensò che in fondo sarebbe stato un bene non riuscire mai a guarire da quelle ferite, lasciare che il suo corpo tornasse lentamente nell’abbraccio della morte, perché Gilbert non l’avrebbe mai più guardato con lo stesso sguardo…non l’avrebbe mai più accarezzato, non l’avrebbe più baciato, e lui non avrebbe mai vissuto l’eternità senza quel calore di cui non poteva più fare a meno.
Chiuse di nuovo gli occhi, abbandonandosi a ciò che il destino avrebbe deciso di riservargli, ma li riaprì quando sentì il rumore di qualcosa che si avvicinava. Per un attimo quasi sperò fosse Vincent, tornato per finire la sua opera e porre fine a una vita che già sapeva sarebbe stata priva di senso, ma invece del manto chiaro del mostro, ne vide uno scuro più della stessa notte, che quasi si confondeva con le ombre circostanti. Gli occhi dorati di Gilbert erano puntati su di lui, spalancati quasi in un’espressione sconvolta di terrore e incredulità, mentre dalle fauci digrignate si poteva udire un basso ringhio gutturale. Abel tentò di sorridergli, di alzare il braccio per accarezzarlo, di parlare per dirgli che andava tutto bene, ma il suo corpo era ancora troppo debole, troppo martoriato da quegli squarci bestiali da cui anche un demone sarebbe difficilmente guarito, e non potè far altro che lasciar posare la testa contro il marmo freddo della lapide, abbandonandosi a un sonno ristoratore da cui avrebbe preferito non svegliarsi. Sapeva che Gilbert non avrebbe mai potuto ucciderlo, ma avesse potuto essere egoista glielo avrebbe chiesto…se non poteva stare accanto alla persona che amava, voleva che lui ponesse fine a quell’esistenza maledetta con le sue stesse mani.

Una calda sensazione sembrava avvolgerlo, come qualcosa di morbido e profumato che lo accoglieva nella sua nuova vita, mentre lentamente riprendeva i sensi. Gli occhi ancora chiusi, riusciva a sentire solo ciò che sembrava una soffice coperta avvolgerlo tutto, e per un attimo si chiese se quello fosse il Paradiso. Ma il Paradiso non era destinato a coloro che erano stati maledetti dalla luna, che fosse quindi un ingannevole Inferno? Un Inferno che lo accoglieva piacevolmente, beffandolo. Eppure…sentiva qualcosa di familiare, un odore che avrebbe riconosciuto tra mille…quello di Gilbert. Aprì di scatto gli occhi, sbattendo più volte le palpebre mentre guardava incredulo il tessuto scuro della tenda a baldacchino su di lui. Scese lentamente sulle colonne in legno finemente decorate dell’enorme letto in stile rinascimentale, posandosi infine sulla figura addormentata seduta lì accanto, la testa adagiata vicino alle sue gambe e una mano che stringeva forte la sua. Piano, facendo attenzione a non svegliarlo, riuscì a mettersi seduto, continuando a guardarsi intorno come incredulo, finchè non incontrò lo specchio. Vide il suo volto cambiare, l’espressione di stupore sostituita da una di orrore: l’azzurro intenso delle sue iridi, chiaro e puro come il cielo più terso, ciò che in lui restava di sua madre, era stato sostituito da un tenue color dorato, a ricordargli eternamente ciò che era diventato. Spalancò la bocca come se volesse urlare ma riuscì solo ad emettere un rantolo strozzato, prima di voltarsi, sconfitto. Si accorse del risveglio di Gilbert solo quando sentì la presa sulla sua mano farsi ancor più forte, e i loro sguardi ora identici si incontrarono solo per un istante, prima che Gilbert lo stringesse a sé.
“Non osare…mai più farmi preoccupare così…” ringhiò piano, stringendolo fin quasi a fargli male
“Tre dannatissimi giorni…senza sapere se tu…”.
Si interruppe, posando la fronte sulla sua spalla mentre prendeva un profondo respiro, come se l’avesse trattenuto fino a quel momento. Come se fosse ormai un gesto automatico, Abel ricambiò quell’abbraccio, lasciando che per un attimo la sua mente si svuotasse di tutti i pensieri che lo avevano invaso. Gilbert lo stava stringendo come se nulla fosse cambiato…voleva tenerlo con sé nonostante tutto? Avrebbe potuto continuare a rimanergli accanto? Socchiuse gli occhi, sentendo il cuore cominciare a battere forte, e il corpo che tornava a riempirsi di quella sensazione così rassicurante e piacevole che sempre aveva provato accanto a lui, fin da quando si era addormentato tra le sue braccia per la prima volta. Dimenticò gli occhi dorati, il timore di rimanere solo, il desiderio di morire per non essere costretto a sopportare quell’ulteriore supplizio, si lasciò semplicemente cullare tra quelle braccia che ora non avrebbero più dovuto temere di ferirlo se l’avessero stretto troppo forte.
“Gil…cosa è…successo? Io…”
“Non devi preoccuparti di questo” rispose Gilbert con una smorfia, staccandosi leggermente da lui per poterlo guardare negli occhi
“Ho provato a scappare, te lo giuro…ma lui mi ha preso e…è stata tutta colpa mia, non avrei dovuto credere che…” singhiozzò Abel, gli occhi che cominciavano a riempirsi di lacrime
“Lo so, ma non devi pensarci. E non voglio tornare sull’argomento”
“Ma io devo sapere, io…ora sono così, e lui…se sapesse che tu mi vuoi ancora potrebbe tornare e…”
“Non tornerà”
“Gil…”.
Gli circondò il viso con le mani, fissando quegli occhi che sembravano guardarlo come se davvero nulla fosse cambiato, chiedendogli tacitamente di dissipare anche quel suo timore, così come il suo calore aveva già scacciato il terrore di poter essere abbandonato. Gilbert ringhiò, distogliendo lo sguardo, per poi sospirare e cominciare a raccontare quanto era accaduto quella notte.
Poco dopo aver trovato Abel riverso sulla tomba, Vincent era apparso alle sue spalle, tranquillo e spavaldo come solo chi sa di avere il controllo può essere, probabilmente per ammirare la sua opera. Gilbert si era avventato contro di lui, e all’inizio aveva rischiato di avere la peggio, ma nella sua mente era rimasto sempre ben fisso il pensiero della vendetta e forse proprio la folle rabbia che provava in quel momento infine l’aveva aiutato ad avere la meglio. Avevano combattuto fino all’alba, senza nemmeno accorgersi di essere tornati umani, e proprio da umano Gilbert aveva sferrato il colpo finale. Si rifiutò di scendere in ulteriori dettagli, limitandosi a dire che, dopo essersi assicurato che fosse davvero finita, con le ultime forze aveva preso in braccio Abel, riuscendo ad arrivare fino alla sua villa. Aveva impiegato poco più di un giorno a guarire del tutto dalle ferite, proprio per questo aveva cominciato ad agitarsi vedendo che lui, invece, non apriva gli occhi nonostante le cure che gli aveva fatto somministrare per aiutare il suo corpo a rigenerarsi. Abel lo ascoltò in silenzio, la testa posata sul suo petto, cullato dal rassicurante battito di quel cuore a cui sempre più era riuscito ad avvicinarsi, e che aveva temuto di perdere per sempre. Avrebbe voluto chiedergli tante altre cose, ad esempio come avrebbero fatto d’ora in poi, se davvero lo aveva accettato, se il suo odore non gli dava fastidio, ma Gilbert sembrò leggergli nel pensiero, ordinandogli di tacere per poi zittirlo definitivamente con un bacio. Abel si lasciò andare a quella sensazione che gli era mancata più di quanto avrebbe mai immaginato, temendo di aver perso tutto ciò per cui a lungo, da umano, aveva lottato, e lasciò che le labbra di Gilbert giocassero con le sue, mentre le dita scorrevano fra i capelli scuri come il manto del lupo che quella notte lo aveva salvato. In realtà il caos nella sua mente non si era ancora del tutto placato, e c’era almeno una cosa di cui doveva sincerarsi.
“Davvero ti vado bene…così?” sussurrò
“Non provi…ribrezzo nei miei confronti? Anche se è stato lui a…”
“Non dire sciocchezze!” lo interruppe Gilbert, aggrottando la fronte
“Quello che è successo…non avrei mai potuto immaginarlo, ma sapevo che lui avrebbe cercato di farti del male. Perché diavolo credi che non volessi perderti di vista neanche un minuto? E tu sei stato uno sciocco, ma non andrai da nessuna parte. Rimarrai con me, che ti piaccia o no”
Lo baciò nuovamente, come a voler ribadire con le azioni quel senso di possesso che sempre più Abel da tempo aveva cominciato ad avvertire, e che lo rendeva così insopportabilmente felice…appartenere a qualcuno, qualcuno che non lo avrebbe gettato via e che gli sarebbe rimasto accanto nonostante tutto…era ciò che sempre aveva desiderato, ciò che il suo cuore urlava disperato fin da quando aveva visto la furia omicida negli occhi di suo padre diretta verso di lui. In quell’attimo aveva pensato di voler vivere, di volere qualcuno che raccogliesse i pezzi del suo cuore infranto per rimetterli insieme, proteggendolo dalla sofferenza che per anni lo aveva lentamente divorato. Si era quasi dimenticato di quel desiderio, e solo quando aveva incontrato Gilbert, per la prima volta dopo anni, aveva pensato con tutte le sue forze “voglio vivere!”. E voleva farlo accanto a lui.

Le mani di Gilbert scorrevano lentamente sul suo corpo facendolo fremere di piacere, mentre le sue labbra sembravano volerlo divorare, o forse solo marchiare la pelle candida per fargli capire ancor di più a chi sarebbe sempre appartenuto. I loro corpi si cercavano, si accarezzavano bruciando a quel contatto che nessuno dei due aveva mai sentito così intenso come in quel momento. Come due amanti riusciti a sfuggire da un destino di morte che finalmente si ritrovano dopo tanto tempo, e continuano a toccarsi, baciarsi, per accertarsi di essere vivi e di nuovo insieme. La lingua di Gilbert accarezzò con lentezza estenuante la sua eccitazione, come a volerlo torturare, e un gemito più alto degli altri sfuggì dalle labbra di Abel, risuonando tra le pareti di quella stanza dove tante e tante volte si erano uniti, rinnovando quella promessa di amore eterno che solo ora poteva essere rispettata, liberata dall’ombra minacciosa della morte che incombeva su un fragile corpo umano appena adolescente. Era ancora in apparenza fragile quel corpo, e ancora Gilbert lo stringeva quasi con timore, ma le cicatrici ormai appena visibili sulla pelle potevano ricordare che quel debole essere umano era ormai un lontano ricordo. Solo la sua anima era rimasta ad abitare quel corpo che doveva ora condividere con qualcosa che, per quanto mostruoso, gli avrebbe permesso di continuare a vivere in quel meraviglioso sogno a occhi aperti. Le gambe di Abel si strinsero alla vita di Gilbert quando lo sentì entrare in lui, le cosce che strusciavano con inconsapevole sensualità sui suoi fianchi, mentre le labbra cercavano invano di trattenere gli ansiti di dolore finchè non si fossero trasformati in estasiati gemiti di piacere. La schiena si tese inarcandosi sinuosa, le dita scorrevano in dolci carezze tra i capelli del ragazzo su di lui, in contrasto con i movimenti frenetici dei loro corpi, mentre le labbra continuavano a cercarsi e incontrarsi, in una continua ricerca del piacere in una vita eternamente dannata che ora entrambi condividevano. Mai fino a quel momento Abel aveva provato un’estasi così forte da stordirlo, il corpo di Gilbert bruciava contro il suo, sentiva il suo respiro e il battito del suo cuore come fosse il proprio, i suoi sensi acuiti gli permettevano di percepire ogni più piccolo movimento, e finalmente sentiva di avere un corpo in grado di dare a Gilbert ciò che aveva sempre desiderato donargli: un corpo che non dovesse preoccuparsi di ferire, che gli avrebbe donato tutto il piacere che voleva, ricevendone da lui allo stesso modo. Voleva che lo possedesse, facendolo suo ancora e ancora, sussurrandogli con tutto sé stesso che non lo avrebbe mai abbandonato. Raggiunse il culmine con un grido che ricordava quasi l’ululato di un lupo, accogliendo in sé anche il piacere di Gilbert, mentre già le mani avevano ripreso a scorrere lentamente sulla sua schiena. Gli occhi lucidi dell’uno incontrarono quelli ancora infiammati di desiderio dell’altro, e un ennesimo bacio su labbra ormai gonfie suggellò la promessa di passione di quella notte senza luna.

Fu quando le cicatrici sul suo corpo furono del tutto sparite, che la mente di Abel tornò nel caos che aveva per poco sperimentato al suo risveglio, un caos che temeva lo avrebbe portato alla pazzia. Aveva sempre creduto che niente avrebbe potuto turbarlo se fosse riuscito a trovare un modo per rimanere in eterno accanto a Gilbert, ma scoprì molto presto quanto fosse difficile tenere a bada la creatura dentro di sé, un’entità così diversa e lontana dalla sua anima umana, tanto da riuscire a terrorizzarlo come nulla prima d’ora. La prima cosa a inorridirlo fu il forte desiderio della bestia per la carne e il sangue, soprattutto quando si rese conto che se l’avesse lasciata libera non avrebbe fatto distinzioni fra carne di animali e carne umana. Per lui, che ormai da tempo rifiutava di cibarsi di altri esseri viventi, il solo pensiero era intollerabile e ogni pasto divenne un’agonia. Sentiva un senso di nausea invaderlo e la testa girare mentre lottava con la creatura per il predominio, e più si avvicinava la luna piena più era difficile mantenere il controllo. Tuttavia, ciò che forse più di ogni cosa lo ossessionava, erano i suoi occhi. Suo padre l’aveva odiato e scacciato, così come i suoi vecchi compagni di scuola, proprio a causa di quegli occhi, eppure lui ne era sempre stato fiero perché guardandosi allo specchio poteva vedere lo stesso sguardo di sua madre, uno sguardo che pian piano aveva cominciato a svanire dai suoi ricordi, cancellato dallo scorrere implacabile del tempo. Ciò che gli permetteva di non impazzire era la presenza costante di Gilbert accanto a sé, solo quando lo guardava riusciva a ricordare il motivo della sua esistenza, e un sorriso spontaneo si dipingeva sul suo volto al pensiero dei giorni che avrebbero potuto vivere insieme. Stranamente la sua prima notte di luna piena fu un’ulteriore distrazione positiva: era ancora giovane e inesperto, e temeva non sarebbe riuscito a controllarsi e avrebbe finito per mettersi nei guai, nonostante ci fosse Gilbert accanto a lui, e fossero nel vasto giardino della sua villa, il luogo più sicuro al mondo per loro. Il momento della trasformazione fu decisamente lo shock più intenso.
Quando la luna brillò nel cielo scuro in tutto il suo pallido splendore, un improvviso e lancinante dolore percorse tutto il suo corpo, ancor più acuto di quello che provava durante le visioni, facendolo cadere in ginocchio mentre si contorceva gridando. Sentì distintamente le ossa allungarsi, dislocandosi dalla loro naturale posizione, mentre i pori della sua pelle si dilatavano per far posto a un’ispida pelliccia candida. Il rumore sordo della mandibola che diventava un muso canino rimbombò più forte degli altri nelle sue orecchie, ma ad inorridirlo più di ogni cosa fu il suono della sua voce, che perdeva sempre più la sua umanità fino a diventare il ringhio animalesco di una bestia colpita a morte. Chiuse gli occhi, provando a rialzarsi su quelle che ora erano zampe, nonostante la fastidiosa sensazione della colonna vertebrale che si allungava per formare la coda e degli artigli che graffiavano il terreno. Per minuti che sembrarono ore restò immobile, in precario equilibrio sulle zampe, guardando fisso i fili d’erba sotto di sé, la fresca brezza della sera che gli accarezzava piacevolmente il pelo, come se lenisse il dolore di un’ustione. Si voltò piano verso Gilbert, già trasformato e seduto accanto a lui, che sembrava guardarlo preoccupato. Aaah che sciocco era…ogni volta si riprometteva di non farlo preoccupare, e invece finiva sempre per fare qualcosa di incredibilmente stupido. Si avvicinò a lui scodinzolando, strusciando il muso contro il suo e sentendolo rilassarsi sotto il suo tocco, un po’ impacciato forse, ma che manteneva la dolcezza delle sue carezze. Temeva che avrebbe dovuto combattere ancor di più per contrastare il lupo, invece per il momento sembrava rimanere quieto, permettendogli di mantenere l’indole gentile e pacifica dell’Abel umano. Continuando a scodinzolare, annusò per un po’ i fiori, voltandosi di tanto in tanto verso Gilbert come a volergli chiedere se fosse un bravo cucciolo, ed esattamente come da umano riuscì a inciampare su una radice. Gli sembrò di vedere Gilbert alzare gli occhi al cielo nonostante la forma animale, prima che lo prendesse per la collottola facendolo rialzare, e poteva quasi immaginarlo dire qualcosa come “non cambierai mai”. Sapeva che quella con la bestia dentro di sé era solo una tregua temporanea, e presto sarebbe tornata a tormentarlo, ma lui avrebbe lottato con tutte le sue forze…ora più che mai non poteva perdere ciò che aveva ottenuto. Gilbert lo aveva accettato nonostante fosse diventato un essere che odiava profondamente, nonostante fosse stato trasformato da colui che aveva reso la sua vita un inferno privandolo di tutto ciò che amava…non poteva permettere che le sue insicurezze gli portassero via la ragione della sua intera esistenza.

I giorni successivi quella prima notte di plenilunio trascorsero apparentemente tranquilli, ma Abel sentiva che sia la sua anima che la sua mente erano spaccate in due. La sua felicità più grande era quella di sapere che avrebbe potuto rimanere per sempre accanto a Gilbert, e continuava a pensare che i licantropi non fossero ‘esseri disgustosi’, perché sentiva che la sua anima non era cambiata, ed era abbastanza forte da mantenere il controllo della creatura, che agiva per puro istinto animale e non per crudeltà. Tuttavia il caos nella sua mente continua a tormentarlo, così come il corpo indebolito per la mancanza di carne che continua a rifiutarsi di mangiare, soprattutto dopo un incidente durante i suoi primi giorni da licantropo: una volta, una sola, non era riuscito a trattenersi, e aveva divorato un pezzo di carne cruda. Quando era tornato in sé e aveva visto il sangue sporcare le sue labbra e le sue dita non aveva avuto nemmeno la forza di piangere, rimanendo a fissare quel rosso vermiglio ad occhi spalancati finchè Gilbert non l’aveva pulito, dicendogli che era una cosa normale e non avrebbe dovuto esserne così sconvolto. Ciò che più lo aveva spaventato e disgustato, però, non era l’aver mangiato quella carne, ma il non essere riuscito a controllarsi. Nella sua mente si era quindi insinuato anche il terrore di poter far del male a qualcuno dei suoi amici o compagni di classe, un incubo che per più di una notte lo aveva fatto svegliare di soprassalto urlando. Persino il pensiero degli occhi continuava a torturarlo, impedendogli di guardarsi allo specchio, e con il passare dei giorni iniziava a temere che presto, se non avesse ritrovato il suo equilibrio, Gilbert lo avrebbe abbandonato. Era stato paziente e comprensivo con lui, fin da quando aveva cominciato quella nuova vita, ma sapeva che continuando così l’avrebbe fatto preoccupare e prima o poi…prima o poi il suo sguardo apprensivo si sarebbe trasformato in uno di disgusto, lo avrebbe guardato come fissava tutti gli altri…come se fosse una bestia senza controllo, una bestia di cui doversi liberare. Gilbert gli aveva sempre detto di volerlo accanto per la sua anima, ma come potevano continuare a rimanere insieme se stava ormai diventando solo un pallido ricordo dell’Abel che lui desiderava accanto a sé?

Un nuovo plenilunio si avvicinava inesorabile, il sole tramontava lentamente davanti agli occhi dei licantropi che fissavano il cielo aspettando il ripetersi della loro ciclica e infinita maledizione. Di nuovo Abel seguì con lo sguardo la striscia vermiglia lasciata dal sole, che tanto gli ricordava il colore del sangue, stretto fra le braccia di Gilbert, in quel giardino che era diventato quasi una ‘palestra’ per lui, giovane lupo che non era ancora riuscito a domare la sua parte animale. Erano quelli gli unici momenti in cui riusciva a trovare un po’ di serenità e di luce nelle tenebre che avvolgevano il suo cuore, quando colui che amava lo stringeva a sé, e forse per questo Gilbert aveva preso a farlo più spesso…d’altronde, per quanto cercasse di nasconderlo, era impossibile non intuire ciò che lo turbava.
“Voglio provare a testare il mio fiuto prima che sorga la luna. Non l’ho ancora mai fatto in forma umana” disse Abel sorridendo, voltandosi verso Gilbert, che gli restituì uno sguardo poco convinto
“In fondo questo è il luogo più sicuro per me, no? Mi allontanerò un po’ e poi ritornerò qui seguendo il tuo odore, e potrai sempre venire a cercarmi se non mi vedrai tornare. D'altronde il mio senso dell’orientamento è rimasto lo stesso” aggiunse ridendo.
Anche se un po’ riluttante, dopo qualche borbottio irritato Gilbert acconsentì a lasciarlo andare, a patto di ritornare entro pochi minuti e assolutamente prima del sorgere della luna. Dopo aver promesso e ascoltato più volte le solite raccomandazioni, Abel si addentrò nel giardino, imboccando un piccolo sentiero che ormai sapeva lo avrebbe condotto fino al laghetto abitato dalle sirene. L’enorme tenuta era diventata nei secoli un rifugio per molte creature non umane e tutte, pacifiche o meno, mantenevano una sorta di delicato equilibrio che permetteva a tutti di vivere in pace: chiunque avesse osato disturbare quell’armonia, sarebbe stato eliminato. Si sedette poco lontano dalla sponda del lago, osservando la superficie stranamente calma e piatta, la mente che ripercorreva quelle ultime settimane come se fosse un film in bianco e nero, i cui unici momenti di colore erano quelli dove Gilbert lo rassicurava, o lo baciava, o facevano l’amore. Aveva sempre odiato il suo debole corpo da umano, così come odiava gli umani perché molti lo avevano fatto soffrire, e aveva sempre ripetuto che nulla sarebbe cambiato se fosse diventato un licantropo o un vampiro, sarebbe rimasto sempre sé stesso. Era ancora convinto di quelle sue parole, ma mai avrebbe creduto di poter arrivare così vicino alla follia nonostante tutto. Cosa ne era stato di quel piccolo essere umano così fragile all’apparenza ma che aveva avuto la forza di promettere che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di rimanere accanto all’uomo che amava? Cosa ne era stato di quella parte di lui che sempre lo aveva reso così fiero, quella che avrebbe sacrificato tutto per amore? Aveva sempre pensato di essere debole, disgustosamente debole, eppure aveva trovato un modo per essere forte: aveva trovato il modo di avvicinarsi a Gilbert, aveva guardato senza timore gli occhi dell’enorme lupo nero folli di rabbia e iniettati di sangue, l’aveva convinto a non abbandonarlo nonostante il suo timore di potergli fare del male e adesso…poteva davvero permettersi di perdere tutto? La superficie del lago si increspò lievemente, come se parte del caos nella sua mente fosse andato a turbare la calma di quelle acque, lasciandolo con un placido senso di quiete che forse, con il tempo, avrebbe preso il posto delle sue insicurezze. Sorrise lievemente, socchiudendo gli occhi: era stato così preso dalle novità su sé stesso, dalla sua lotta interiore con la creatura, da non essersi reso conto di quanto, in quei giorni, fosse stato amato come mai prima. Nonostante il suo odio per i licantropi, e per il mostro che lo aveva reso così, Gilbert gli era rimasto accanto continuando a vedere in lui il suo ‘cucciolo d’uomo’, la cui anima lo aveva attratto come una luce di speranza in una vita che sembrava paralizzata in un istante congelato nel tempo.
“Moccioso, che diavolo ci fai qui imbambolato?! Non ti avevo ordinato di tornare immediatamente?”.
Si voltò al suono di quella voce, era così preso dai suoi pensieri da non averlo nemmeno sentito arrivare, e appena Gilbert si avvicinò a lui Abel balzò ad abbracciarlo sorridendo, mormorando delle scuse mentre si stringeva forte a lui, rilassandosi al sentire quel profumo familiare e rassicurato dal battito regolare del suo cuore. Gilbert lo guardò dapprima sorpreso, per poi borbottare qualcosa a proposito di una punizione che avrebbe scontato a letto la sera successiva, guardando sempre più perplesso Abel che annuiva continuando a sorridere. La luna stava ormai per sorgere e, mentre aspettava il momento accoccolandosi in quel rassicurante abbraccio, pensò che aveva ancora molta strada da fare per riuscire ad accettare completamente sé stesso, tanti e nuovi ostacoli erano davanti a quell’amore ormai sancito come eterno, ma come aveva sempre fatto avrebbe continuato a superarli tutti, uno ad uno. Da umano aveva dovuto combattere per riuscire ad avvicinarsi al cuore di Gilbert, e adesso ciò a cui tanto aveva anelato era lì accanto a lui, davanti allo stesso ostacolo, per aiutarlo a superarlo. Quell’amore per cui aveva sorriso, pianto, sofferto e sperato si era finalmente lasciato catturare e cullare dalle sue braccia, e nemmeno a sé stesso avrebbe permesso di infrangere la promessa che li univa in una sorta di allegorico matrimonio, per l’eternità e in buona o cattiva sorte.
Il riflesso della luna apparve sulla superficie del lago, mentre due lunghi ululati si propagarono in perfetta armonia nel silenzio innaturale di un luogo senza tempo, dove due anime rinnovavano sotto il plenilunio il loro eterno voto.
 
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